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Una questione d’onore

di Demetrio Pellicanò (segretario di Reggio Calabria)

Questo 23 Maggio ricorre il 31° anniversario della Strage di Capaci, ad opera di Cosa Nostra, in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Da anni ormai il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in collaborazione con la fondazione Giovanni Falcone, organizza la Giornata per la legalità e il contrasto alla criminalità mafiosa. Ma che senso ha celebrare questa giornata dopo tutto questo tempo? La mafia esiste ancora? Questa giornata è importante non solo per mantenere viva la memoria delle vittime degli attentati mafiosi, ma anche per ricordare sempre che la mafia è ancora presente e non si è fermata dopo Falcone e Borsellino.

Tale consapevolezza si rende più che necessaria ai nostri giorni in quanto le mafie sono diventate ancora più subdole, vigliacche, non escono più alla luce del sole e si insinuano con l’inganno nella vita di donne e uomini che cercano il modo di risollevarsi o una strada di facile percorso. Le mafie sono così subdole che portano alcune persone a credere al mito dei famosi “uomini d’onore”, che si ergono a paladini di una giustizia fatta di vendette e di spargimenti di sangue.

Oltre alla Strage di Capaci, ci sono tanti altri esempi che ci fanno capire il modus operandi della mafia.

Il 25 giugno del 2009, in contrada Margherita, nella periferia nord di Crotone, un bambino di 11 anni che si chiamava Domenico Gabriele, per tutti Dodò, viene ferito a morte mentre gioca a calcetto insieme a suo padre. In quel campetto da calcio a giocare, all’insaputa di Dodò e del padre, c’era anche un giovane di 35 anni che aveva a che fare con le attività della ‘ndrangheta e che era il bersaglio di due sicari, che quel giorno erano lì con l’ordine di ucciderlo. I due sicari, nel compiere questo omicidio, decidono di sparare all’impazzata noncuranti delle altre persone. Oltre ad uccidere il giovane, feriscono Dodò e altre otto persone innocenti. Dodò era un ragazzino vivace che amava il calcio e andava molto bene a scuola. Il 22 settembre 2009, dopo quasi tre mesi di agonia, Dodò si spegne e, insieme a lui, si spengono la sua bravura a scuola, il suo amore per il calcio e tutti i suoi sogni e le sue aspirazioni. Una vita stroncata prima ancora di iniziare.

L’unica colpa di Dodò era quella di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Molti definiscono questo omicidio uno “sbaglio”, ma un bambino di 11 anni che gioca a calcetto non può morire “per sbaglio”. 

Dov’è, dunque, quell’onore di cui i mafiosi si fanno portatori? La storia di Dodò infatti ci racconta la vera natura della mafia, un’organizzazione violenta, che non attacca solo quando viene “provocata”, ma che, pur di perseguire gli interessi di alcuni prepotenti, non guarda in faccia a nessuno, nemmeno a un bambino innocente. La mafia non è e non sarà mai la via più semplice per risolvere un problema. La mafia è un cancro della società di oggi, una realtà che cresce a spese altrui, che reca danno allo Stato, giocando con le risorse comuni e con vite di altri.

Tra le vittime di mafia che ricordiamo in questa giornata, oltre agli stessi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vi sono alcune persone come il giudice Antonino Scopelliti o il Beato Rosario Livatino che sono stati degli autentici testimoni di legalità. Esistono ancora oggi tantissime persone, donne e uomini delle istituzioni e non solo, che dedicano la propria esistenza a combattere la mafia. Un esempio è il Procuratore della Repubblica di Catanzaro il dottor Nicola Gratteri che, nonostante le minacce ricevute e i pericoli che questa lotta comporta, ha deciso di battersi fino all’ultimo per contrastare la ‘ndrangheta.

Di certo, per fare questo, oltre ai mezzi adatti, è necessario un grande coraggio che non tutti possediamo. Ma allora come possiamo noi nel nostro piccolo intraprendere questa lotta?

Risiede proprio qui il senso profondo di questa giornata: prendere consapevolezza del fatto che talvolta non servono grandi gesti per combattere le mafie, ma sono sufficienti alcune semplici azioni concrete di legalità, che, sommate insieme, costituiscono il più grande ed efficace attacco nei confronti della mafia. 

Tuttavia, dobbiamo essere pronti: quando si lancia un attacco, soprattutto di questa portata, è importante anche avere una buona e solida difesa che impedisca alla criminalità organizzata di renderci schiavi, svendendo inconsapevolmente le nostre vite. Questa grande difesa è rappresentata dallo  studio e dalla cultura, le armi non-violente più forti che abbiamo contro le mafie.

2 risposte

  1. Grazie dell’articolo, leggerlo è stato molto bello. Vorrei fare solo una precisazione: la defunta moglie di Giovanni Falcone si chiamava Francesca non Giovanna.

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