In questi giorni abbiamo assistito a un altro episodio di femminicidio e con Giulia Cecchettin arriviamo a oltre cento vittime dall’inizio dell’anno. È un numero tragico che testimonia un’emorragia inarrestabile. Oggi, 25 novembre, siamo ancora una volta tutte e tutti sgomenti di fronte alla tragica abitudine che stiamo sviluppando rispetto a questi fatti di cronaca. Siamo stufe e arrabbiate per l’immobilismo della società nei confronti della violenza, ci sentiamo impotenti di fronte alla consapevolezza di non poter essere sempre noi padrone del nostro destino, come è successo a Giulia. Siamo attoniti e ci sentiamo corresponsabili perché condividiamo il seme di una cultura che vorremmo non ci appartenesse ma che senza rendercene conto risiede in noi e ci influenza quotidianamente. L’uccisione di Giulia ci conferma l’immagine di un mondo ancora troppo violento, in continuo conflitto. Se pensiamo di non aver mai assistito a scene di violenza, si tratta certamente di una condizione di privilegio che ci rende ciechi alla questione e non ci permette nemmeno di vedere il problema. Se ci costruiamo alibi del tipo:”Non posso fare molto se non rispettare il mio prossimo”, siamo essenzialmente complici di questa banalità del male. Ognuno di noi contribuisce attivamente alla violenza o alla non-violenza della società con i propri gesti e le proprie parole. Sentiamoci parte del problema quando non siamo in grado di fermare la violenza e sentiamoci soprattutto parte della soluzione, primi attori del cambiamento. Poniamoci le domande giuste. Non serve chiedersi “IO cosa ci posso fare”, chiediamoci piuttosto “NOI cosa possiamo fare”. Il bene comune si realizza nel momento in cui la collettività trova una strada comune, una prospettiva condivisa. Pertanto, se desideriamo fermare la violenza, dobbiamo prima unirci in un NOI, un NOI più grande di quello che possiamo immaginare. Più volte in questi giorni siamo stati chiamati a distruggere tutto. Siamo certamente d’accordo che vadano abbattuti i tabù, le disuguaglianze, i pregiudizi e ogni genere di sopruso; tuttavia, preferiamo COSTRUIRE TUTTO, ma soprattutto COSTRUIRE TUTTE E TUTTI INSIEME. Costruiamo una cultura rinnovata di cura e di attenzione, costruiamo una cultura che non permetta le violenze, costruiamo, insieme, un’alternativa credibile. Agiamo come studentesse e studenti, come donne e uomini, come adulti e giovani, come oppressi e privilegiati, insieme contro violenza. Tutta la società dev’essere coinvolta in una rivoluzione culturale profonda. La Scuola ha il ruolo da capofila, anche in merito alla violenza di genere. Come già citato nella scheda formativa sulla parità di genere, la legge 128 del 2013 ribadisce la “necessità per le scuole di favorire l’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”. In questo contesto, a scanso di equivoci, va chiarito che l’educazione all’affettività non è l’educazione sessuale. Come Movimento riteniamo indispensabile una educazione sessuale che ci permetta di entrare in rapporto con i cambiamenti fisiologici che un adolescente vive durante la pubertà, di conoscere il nostroo corpo, di sfatare i tabù legati al tema e di apprendere alcune essenziali pratiche di prevenzione. Nello stesso tempo, invece, educare all’affettività è indispensabile perché significa contribuire allo sviluppo di pratiche di rispetto dell’altro, delle emozioni, di gestione dei conflitti e di tutta la sfera comportamentale che entra in gioco nel rapporto con altre persone. In più, l’educazione all’affettività non va vista solo nell’ottica della parità di genere o nella prevenzione alla violenza, ma ha un riscontro più ampio nella vita familiare, nei rapporti di amicizia, nelle dinamiche sociali e politiche, nonché nel riconoscimento della propria identità affettiva. L’educazione affettiva deve permetterci di imparare a conoscerci per conoscere l’altro, imparare a riconoscerci per rispettare e accogliere l’altro. Allora, ancora una volta, gridiamo a gran voce e chiediamo che percorsi di educazione all’affettività vengano attivati in maniera credibile nelle Scuole. Abbiamo bisogno di un’educazione affettiva che ci formi in maniera completa come individui capaci di stare nella società e di costruire relazioni sane e durature basate sul rispetto. Desideriamo una Scuola che ci dia gli strumenti per imparare ad accettare le decisioni e gli stili di vita degli altri, anche se non sono perfettamente in linea con i nostri, per saper gestire le nostre emozioni nei rapporti con l’altro. Bisogna iniziare fin dalla scuola dell’infanzia, al fine di intraprendere un percorso graduale, che affronti ogni tappa del difficile percorso che è lo sviluppo. Serve personale adeguatamente formato e non basta delegare a un professore questo compito. Vanno incoraggiati investimenti a favore di figure come gli psicologi, dotati delle competenze adeguate per accompagnare ragazze e ragazzi nell’affrontare delle dinamiche così apparentemente semplici, eppure così decisive per la costruzione di una società equa e giusta. La formazione in ambito affettivo non può essere rimessa alla spontanea iniziativa delle famiglie o dei singoli. Non è detto infatti che il contesto relazionale al di fuori della scuola aiuti le studentesse e gli studenti a migliorare la propria attitudine relazionale: non dobbiamo dimenticare che una gran parte delle violenze di genere si consuma in ambito domestico e che più in generale non è scontato che ogni contesto familiare possa costituire un esempio in quest’ambito. Infatti, proprio per queste situazioni di fragilità, la scuola è chiamata a curare la formazione di noi studenti e studentesse anche sotto il profilo affettivo. Vorremmo che da questi pensieri, scritti condividendo sensazioni di tante e tanti di noi, nascessero discussioni di gruppo o sincere riflessioni informali, che vadano oltre la retorica del commento al fatto di cronaca, ma che siano occasioni per confrontarsi più intimamente le une con gli altri e iniziare insieme una rivoluzione gentile della nostra cultura. Infine permetteteci un pensiero per Giulia e la sua famiglia, a cui esprimiamo il nostro cordoglio e che accompagniamo con una preghiera rumorosa.
I ragazzi e le ragazze dell’equipe nazionale